Stato sociale europeo: in Italia nessuna traccia, solamente sacrifici!

welfare.JPGIl welfare state affonda le sue radici nelle Poor Laws di Elisabetta I d’Inghilterra, a cavallo tra il Millecinquecento e il Milleseicento, e negli Stati illuminati del Millesettecento. Esso nasce in Europa e rappresenta la risposta dello stato ai problemi sociali portati dalla prima industrializzazione: progressivamente l’intervento statale si sostituisce alla beneficenza della Chiesa nell’assistere la massa di poveri creata dallo spopolamento delle campagne e dallo sfruttamento del lavoro nelle fabbriche. Il welfare state nasce quindi storicamente con l’emergere delle contraddizioni dell’economia capitalistica, la distruzione della civiltà contadina e della solidarietà familiare e di villaggio, la nascita del proletariato, l’urbanizzazione, l’emigrazione.

I welfare state dei vari paesi europei si distinguono fra loro in base ad alcune specifiche caratteristiche, fra le quali il diverso grado di accentramento o decentramento, il differente modo in cui si possono classificare i vari tipi di servizi definibili come assistenza sociale, le diverse fonti di finanziamento, l’incidenza del cosiddetto settore del non profit, l’erogazione dei servizi.

L’Europa da più di 19 anni raccomanda e invita tutti i Paesi membri a dotarsi di questo strumento, ormai ne restano senza soltanto Italia, Grecia e Ungheria.

Il modello italiano è fondato sulla protezione forte dell’impiego del capofamiglia, con barriere ai licenziamenti piuttosto che le assicurazioni contro la disoccupazione, e sul ruolo della famiglia come ammortizzatore sociale.

Il reddito minimo garantito è il vero pezzo mancante del puzzle. La cieca, o finta cieca, politica italiana rende incomprensibile il lessico della politica europea. In Italia welfare significa un’altra cosa da quello che significa in Europa, volutamente penso.

L’unico obiettivo di tutti i governi in Italia è lo stritolamento dei risparmi degli italiani per partecipare al benedetto conclave Europa, propinandoci solo la parte di leggi e doveri che sacrificano anche la persona. I nostri governi ci hanno saputo somministrare solo le leggi sulle tasse e l’adeguamento agli standard europei. Tutti i diritti, il welfare europeo, la sua concezione, li nascondono in soffitta per evitare di dare e salvare dalla disperazione qualche italiano.

Molti politici europei danno per scontati temi e circostanze che sanno essere di comune dominio in Europa, e che però non sono di comune dominio in Italia.

Con “assistenza sociale” l’Europa  intende un “reddito minimo garantito” (revenu minimum d’insertion, istituito in Francia – ultimo paese in Europa ad adottare una forma di reddito minimo garantito – nel 1988 e aggiornato nel 2009 con il revenu de solidarité active: un reddito minimo senza limite di durata per chi non lavora, inesistente solo in Italia e in Grecia).

Una tematica che in Italia costituisce un problema che appare ancora piuttosto lontano.

Nell’Europa del nord il disoccupato ha il welfare, nell’Europa del sud la famiglia. Nel nord il disoccupato ha un reddito e un alloggio garantito, mentre nel sud ha la famiglia. E chi non avesse la famiglia?

Secondo lo Stato Italiano e il sistema dei Comuni può morire, un problema in meno!
La situazione europea è, dunque, del tutto diversa da quella italiana dove un reddito minimo garantito non è mai stato istituito.

La Germania, Francia, Olanda, Finlandia e l’Inghilterra hanno un welfare imponente e sono vincenti anche sul piano economico. Perché lo stesso non avviene anche in Italia?

In questi paesi, oltre a chiedere sacrifici ai cittadini per il pareggio di bilancio, i governanti garantiscono un welfare che sarebbe una manna dal cielo per i disoccupati, per le famiglie e per gli studenti che potrebbero garantirsi un futuro migliore.

Che significa welfare state in Italia? Il suo significato in Italia è ancora sostanzialmente quello della “piena occupazione”  trasformando di fatto il lavoro in clientelismo. Attraverso il clientelismo si autoseleziona un ceto politico disonesto che ineluttabilmente, per sopravvivere, allarga all’infinito la spesa e dunque il debito pubblico. Un sistema che rende  il lavoro svilito e poco produttivo, ma non tanto perché “troppo garantito”, piuttosto perché all’origine non è premiato il merito, non contano le competenze o la vocazione, contano le aderenze e la fedeltà. Inoltre, queste politiche spesso si sono tradotte in una forma di assistenza alle imprese, che, a loro volta, finiscono per lavorare per i sussidi.

Un apparato di succhiasangue che finisce per escludere i veri protagonisti del provvedimento: i deboli, i bisognosi.

Il welfare vero, secondo il diritto, ha anche il senso di ridurre il potere dei “notabili” che comprano il consenso.

Ad oggi io mi chiedo, anzi posso spiegarmi, perché in Italia non sia mai attecchito!

Adriano Nicosia

Stato sociale europeo: in Italia nessuna traccia, solamente sacrifici!ultima modifica: 2012-12-17T10:00:00+01:00da percorsisicilia
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